Comunicato della Parrocchia dell’Addolorata
Domenica 27.01.2008 alle ore 10.00 nella Chiesa dell’Addolorata la comunità parrocchiale ricorderà con la liturgia eucaristica l’indimenticato parroco Mons. Pietro Palena. Nella sua vita sacerdotale è stato chiamato a ricoprire molti incarichi e ruoli anche a livello diocesano (Primo Parroco di Oltreponte in cui ha costruito la chiesa, Parroco di S. Stefano, Vicario Episcopale per la Pastorale, e Delegato per l’Apostolato dei laici, Responsabile del Sinodo - per le cui Sessioni finali una grave malattia lo ha tenuto lontano; Rettore del Seminario e poi penitenziere al Santuario di Crea; Responsabile Diocesano del Centro Missionario). È stato un sacerdote buono e disponibile, ma anche determinato nelle iniziative e coraggioso nelle proposte pastorali. Il 26/1/98 una setticemia lo ha portato via. Già quattordici anni prima, durante una vacanza con i giovani della parrocchia, un malessere improvviso era parso fermarne l’instancabile attività; ma aveva superato “miracolosamente” quell’attacco che lo aveva immobilizzato su una carrozzella per qualche tempo.
Il suo impegno di educatore, il suo entusiasmo nel trasmettere valori e l’aiuto da lui dato nell’affrontare la realtà sociale è stato riconosciuto anche sul piano civile con l’intitolazione, nel 2004, del giardinetto di piazza Statuto davanti alla Chiesa dell’Addolorata.
La Comunità Parrocchiale dell’Addolorata
Sono dieci anni che ci manca, che manca a chi con lui ha collaborato e ha condiviso esperienze e iniziative pastorali.
Aveva uno spirito missionario formato nel Gruppo Sacerdotale fondato da Mons. Mojetta, sviluppato nelle tante missioni degli anni cinquanta in ogni ambiente sociale e conclusosi con l’incarico di Responsabile del Centro Missionario Diocesano. E oltre a questa “missionarietà ardente” (questo il ricordo di don Ettore Rossi) “ha dimostrato sempre esemplarità e obbedienza sacerdotale, pastoralità evangelica, vivendo il suo ministero sacerdotale con fede integra e carità sincera”.
A parte i tanti incarichi ricoperti e i ruoli svolti nel servizio diocesano desidero ricordarlo soprattutto come “Rettore” della Parrocchia dell’Addolorata per 23 anni (quasi un quarto di secolo) negli anni interessanti, ma difficoltosi, che vanno grosso modo dal post-Concilio e inizio della contestazione giovanile fino a dopo la caduta del muro di Berlino: 1967 – 1990.
Tante le cose fatte e le iniziative messe in cantiere in anni appassionati, i primi, e di “riflusso” come si diceva allora, gli ultimi: durante il periodo da lui trascorso in parrocchia si è passati ad uno stile pastorale di maggior evangelizzazione e catechesi (anche degli adulti), si è svolto il primo censimento dei residenti, si è sentita l’esigenza di vivere il cristianesimo mettendosi di più a servizio della gente (alcuni sono stati tra i promotori del Consiglio di Quartiere, altri gli organizzatori dei corsi di dopo-scuola; e la parrocchia ha fornito i locali per la scuola popolare serale); per quanto riguarda i lavori si è rinnovato il tetto della cupola, e rivista tutta la parte superiore esterna della chiesa, rinnovati l’impianto elettrico e quello di riscaldamento, tolti i confessionali, rimosse le balaustre del presbiterio e dell’altare della Pietà, tolto il pulpito (del 1670) e riutilizzato come altare maggiore e spostato il leggio del coro per farne l’ambone.
Di lui bisogna ricordare che è sempre stato obbediente, fino alla fine, fino alle lacrime (ci ricordiamo ancora quando ha comunicato il suo trasferimento dalla parrocchia): un esempio di servizio umile.
L’aspetto più significativo però, come evidenziava don Gigi Gavazza, è che fu “uomo di comunione, ha creato nei posti dove ha lavorato un vivo senso della comunità”.
Proprio su questo aspetto vorrei concludere il breve ricordo riproponendo tre momenti della sua indimenticata presenza fra noi.
La costituzione, nel novembre del ’68, del Consiglio Pastorale: le modalità per la sua formazione coinvolsero ogni settore e abitante, e le prime infuocate riunioni dimostrarono, oltre al clima contrastato del periodo, anche l’attaccamento e la passione per la vita parrocchiale. La partecipazione ecclesiale la trasmetteva a tutti come necessità da vivere e non solo come formalità organizzativa. Anche all’Asilo di Porta Milano si organizzò una gestione più partecipata coinvolgendo i genitori sul piano didattico-educativo.
Il gruppo giovanile: l’ha coinvolto e tenuto vicino anche quando le incomprensioni poterono provocargli amarezze; ma la maggioranza dei giovani lo sostenne nell’introdurre le innovazioni pastorali che gli stavano a cuore (ad es. fu abolita la questua durante l’offertorio e lasciati i cestini delle offerte all’uscita della chiesa), e ne comprese l’animo grande di padre e di guida. Essi si sentirono partecipi di quella nuova stagione, che anche con una liturgia più accattivante (per qualche tempo fu celebrata una messa per il gruppo giovanile) e modalità di preghiera più adatte alla loro sensibilità, li rendeva protagonisti. La Casa Parrocchiale (ci perdoni mamma Ercolina per il fastidio provocato) era diventata per molti di noi una seconda abitazione dove si pensava, si organizzava, si ciclostilava e, quando nelle serate più fredde, si giocava a carte si scopriva l’umanità e la soddisfazione del sacerdote che vedeva realizzarsi un progetto. La stessa cosa la si constatava nei campeggi con cui abbiamo girato tutta la penisola e parte dell’Europa (da Taizè a Dachau).
La comunità parrocchiale: fondamentale per una pastorale adatta ai tempi nuovi, superando la semplice aggregazione degli abitanti all’interno dei confini geografici della Parrocchia. L’esperienza cittadina dell’Operazione Emmaus (raccolta di carta e stracci il cui ricavato si sarebbe destinato all’Abbè Pierre per il sostegno dei poveri) costituì il primo momento di un volto della comunità che si metteva a servizio dei poveri; poi seguirono le Assemblee parrocchiali per programmare la pastorale; l’animazione delle celebrazioni liturgiche; l’incoraggiamento a chi si assumeva incarichi pubblici. La comunità parrocchiale era il tentativo di realizzare la Chiesa del Concilio mettendosi in condizione di missione, di mantenere rapporti con tutti, di sapersi anche interrogare sulle proprie carenze e debolezze; una comunità che respirava il clima spirituale di Bose e di Enzo Bianchi, quello della fraternità con le frequentazioni alla Cascina del Gruppo Abele a S.Candido di Murisengo o del sostegno scolastico dato alle ospiti della Casa di via Trino gestita dalla sig.na Lusona, dall’ospitalità a chi veniva dal Belice dopo il terremoto.
Nel suo testamento spirituale ringraziava il Signore “per le moltissime consolazioni raccolte nel ministero”: mi auguro che qualcuna gliela abbiamo procurata anche noi; sicuramente noi dobbiamo ringraziare don Pietro che ci ha aiutati a sentirci sempre più parte di una comunità di amici legati e solidali, ma soprattutto perché (cito sempre dal testamento spirituale) ci ha insegnato “a vivere nella volontà del Signore, in comunione con tutti, a crescere nell’amore ponendosi nello spirito del servo inutile”. Grazie don Pietro!
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